venerdì 5 giugno 2009


FRARA IS BURNING, DIAL 114!
The O’STYLE connection.

Sin da quando esiste il rock indipendente in Italia, Bologna è stata additata, anche quando non ce n’era bisogno, quale capitale del rock in Emilia Romagna: ogn
i altro capoluogo di provincia ha vivacchiato all’ombra del supposto fermento della rossa (‘na sega) città. Ok, possiamo pensare ai CCCP, non bolognesi bensì reggiani, comunque unico parto che si ricorda della città in questione. Bè, io, in quanto bolognese (di provincia ma pur sembre bolognese), campanilista e devoto ai Maroni del Nettuno, voglio smentire e spostare il tiro sulla città eternamente nemica alla mia: Ferrara. Bè, voi dovete sapere che oramai a Bologna ci si rompe le palle, e sono anni che non succede nulla di estremamente folgorante. Ci sono locali, centri sociali, alcuni dei quali molto belli, ci sono concerti (mai troppi però, che sennò ci si abitua male eh). Ma la produzione autoctona, oramai, non rende giustizia al buon (?) nome della città: sui motivi potrei riempire dieci fogli di affermazioni contraddizioni e dinamiche oscure, ma non è il caso. Vorrei invece fare qualcosa che il mio proverbiale e sano campanilismo mi impedirebbe di fare: parlare, bene, di Ferrara e di ciò che vi accade, musicalmente parlando. A FE, per quanto ne so io, non è che ci sia mai stato un grosso fermento, o meglio, non si è mai puntato sulla quantità, per svariati motivi: la città in sé è piccola, e la provincia è estesa e un filo dispersiva. Ora, cercherò di nominarli il meno possibile perché sennò rischiano di diventare sputtanati, ma dagli anni ’80, un nome è rimasto tatuato sui cuori di chi fa musica alternativa con una certa attitudine: parlo ovviamente degli IMPACT, che ancora oggi girano e sono uno dei punti fermi del punk italiano, una di quelle band che sono una certezza, che ti danno sicurezza. Ecco, per quanto ne so io, solo loro c’erano, e tutto o quasi tutto quello che è successo dopo è stato grazie a loro. E non è un caso se troviamo Janz, il loro chitarrista, fra i nomi dietro a questa splendida realtà chiamata O’STYLE. Ora, questi loschi soggetti dal dubbio accento stanno dimostrando che ci può essere una realtà seriamente indipendente senza tirare in ballo troppe pugnette di natura politica o etica. Qua si parla semplicemente, di musica indipendente e di voglia di creare e di pubblicare dischi. Dietro al nome O’Style, oltre a Janz c’è Eugenia Serravalli, ultraquarantenne d’assalto, una specie di eminenza grigia con il decuplo della mia energia (e ho 26 anni) e idee sempre interessanti, dal punto di vista creativo. Lei suona in 3 dei 4 gruppi che andrò a citare. In ordine cronologico, o meglio, di anzianità, inizierò con le SORELLE KRAUS, il primo gruppo che ha adottato il marchio O’Style, per la precisione sul loro secondo cd “Lunatic”, che a mio avviso è un piccolo capolavoro. Le Sorellone esistono dal 2003 mi pare, e hanno fatto uscire un cd omonimo, il suddetto ep, e un cd intitolato “The Worst of Sorelle Kraus”, che raccoglie i due cd, più tre pezzi inediti. Questa band è il classico esempio che il punk serve a un sacco di cose ma fare i punk non serve a un cazzo, ed infatti le nostre non fanno le punk, anzi, cercano di suonare bene, facendo musica non troppo assurda e producendo bene i loro dischi: in altre parole, sono un meraviglioso gruppo POP! Sono capaci di accostare melodie incantevoli a passaggi vagamente dissonanti, con reminescenze garage e suoni assolutamente rock. E’ un gruppo che starebbe bene in heavy rotation nelle radio da college americane, con la voce di Elena, che, con un certo piglio quasi “karaokista” riesce non so come non solo a non sfigurare, ma addirittura a dare la spinta perfetta alle nostre, dato che non riuscirei ad immaginarmela in nessun’altra band! Dopo le Sorellone, parliamo dell’”anello debole” della catena, gli HELL TOUPE’. Dico “anello debole” non perché non mi piacciano (anzi!), quanto perché fanno un punk rock abbastanza canonico rispetto alle altre band. Ciò non toglie che la band di Eugenia, Pollo e Azzurra si faccia valere non solo dal vivo, ma anche sul loro omonimo cd, che si apre con la devastante “You Fascist Must Die”, sulla linea di un punk senza fronzoli, veloce e tagliente, con titoli spassosi come “The Junkie Nuns”. Ecco, se io fossi stato al loro posto, mai mi sarei sognato di incidere “White Minority” dei Black Flag, che, oltre a non essergli venuta granchè, è un pezzo che non si tocca…In ogni modo, supportateli, anche solo perché non scomodano il fantasma dei Ramones come TROPPI gruppi al mondo. Ma adesso arriva la violenza vera e propria: i CAPTAIN NEMO sono una roba da pazzi! Nonostante ne abbia già parlato il buon Antoine e nonostante io purtroppo non li abbia mai visti dal vivo, posso solo dirvi che, appena messo su il loro omonimo debutto, ho pensato che mi avessero rifilato un inedito di Klaus Schulze, invece, ad un certo punto parte una rullata di batteria, una chitarra iperdistorta e delle risate inquietanti: questa è “Lipstick Fiend”, la traccia che apre questa piccola perla di rumore melodico proveniente dalla bassa. A tratti etereo, a tratti violentissimo, a tratti semplicemente un’orgia di campionamenti e rumore, il suono dei Captain Nemo è un qualcosa di difficilmente classificabile (soprattutto da uno come me che ha ascoltato solo sixties fino a cinque anni fa) se non, come dicono a Bologna, come “una gran fattanza”. A metà strada tra i Butthole Surfers e i Cosmic Jokers. Da ascoltare, amare oppure odiare, non so, fate voi. Non so dire altro su questa meraviglia, quindi passerò a descrivere un’altra meraviglia, che è “Eco” dei LARSEN, duo formato, a quanto ho capito, da due dei Capt. Nemo. Cantano in italiano, ma tanto non si capisce un cazzo, e sono punk fino al midollo. Ricordano i Mudhoney, i Nirvana e tante altre cose, ma hanno una personalità veramente spiccata. Usano il Big Muff come se fosse un’alabarda e il cantante principale sembra un Edoardo Bennato prossimo al coma etilico. L’unico pezzo in inglese, “Packed In”, ha la statura del classico, e la meravigliosa ballata “Stella del Giorno” è una specie di “All Apologies” della bassa, grazie anche al grande utilizzo delle etiliche voci da parte dei due. Questi potrebbero già saltare la parte della gavetta che ogni gruppo underground fa, perché volano già in alto. Al loro attivo pure un cd registrato dal vivo, “Live at 344”, dove per 344 si intende il numero civico della casa di Pollo e Azzurra, rispettivamente batteria e basso degli Hell Toupè, nel quale salotto spesso e volentieri si organizzano concerti e jam devastanti. Anche questa è Ferrara, non Bologna. Una piccola e bellissima città, dove, oltre a sagre della salama da sugo, poliziotti che pestano a morte ragazzi ed eroina, pare che anche se magari non c’è la libertà di fare casino, ce la si prenda, come dovrebbe succedere ovunque…
[FRABBO]